Nei
miei spettacoli uno degli elementi preponderanti è il concetto di
narrazione, del tramandare il vissuto perché nulla vada perso in
termini di esperienza individuale e di memoria collettiva.
È stato così per “Il cappello di carta”, storia di una famiglia romana
proletaria alle prese con la seconda guerra mondiale.
Per “Liolà”, affresco tragicomico della vita di un piccolo paese
siciliano.
Per “Tango”, straziante cronaca della brutale repressione argentina
negli anni '70.
Per “Amami quanto io t’amo”, poetico resoconto della vita di Marguerite
Gautier, la Signora delle Camelie e del suo mondo fatto di lusso e
solitudine.
Stavolta abbiamo aggiunto un tassello alla nostra ricerca teatrale,
rappresentando una storia (anzi tre) assolutamente reali e
“rielaborate” solo il minimo indispensabile a renderle fruibili in
teatro.
Storie recuperate da quella tradizione orale che era patrimonio del
nostro paese fino a qualche decennio fa e che oggi è quasi del tutto
scomparsa, sopraffatta da sproloqui catodici rispetto ai quali siamo
solo spettatori passivi.
Questo spettacolo vuole essere anche un omaggio a quella tradizione, a
quel ricordo di strade di paese, di stalle, di cortili dove i bambini
giocavano mentre i grandi facevano “filò”.
Un omaggio a un modo di vivere che non c’è più ma che alcuni, compreso
me, si ostinano a mantenere vivo nella memoria, come fuoco sotto la
cenere del tempo che passa.
Roberto Belli