La
storia di tre donne, di tre differenti generazioni, del loro desiderio
di libertà, delle partenze e dei ritorni, dell’amore che fa battere il
cuore e di quello che lascia cicatrici che restano, nella filigrana
dello scorrere del tempo.
La storia di tre mondi così distanti eppure così intimamente legati dal
filo della memoria. Un filo da svolgere con cura, affinché la matassa
ingarbugliata riveli lo splendore del riconoscersi.
La storia del linguaggio che in un secolo cambia, si evolve e si
involve, raffigurando con la parola il mutamento di un costume, di una
tradizione, di un’epoca.
Storia di viaggi, di mete lontane, alcune solo sperate e sognate, altre
raggiunte con caparbietà e coraggio.
Storia di contrade, di cortili, di stalle di paese in cui radunarsi per
fare filò, una consuetudine che negli anni si è perduta, quel
ritrovarsi per raccontare e per sentire storie, vecchi e bambini
insieme, per intrattenersi e non perdere la memoria.
Storia dei grandi e terribili eventi che hanno segnato il ‘900, visti
dalla parte di chi la Storia con la esse maiuscola l’ha attraversata
senza rendersene troppo conto.
Storie che, ad ascoltarle, si diventa custodi e testimoni. Storie di
vite vere, vite mangiate, vite strappate, vite vissute sul serio.
Il dono della narrazione che si fa teatro, attraverso l’interpretazione
di Paola Negrin, per tutto il tempo seduta su una vecchia sedia,
traballante ed indistruttibile proprio come la memoria, e capace di
dare vita, corpo e voce alle tre protagoniste.
Ad accompagnarla dal vivo, rendendo ancor più preziosa la narrazione,
l’organetto e la chitarra di Massimiliano Felice, autore ed esecutore
delle musiche.
A dirigere il tutto il regista Roberto Belli, abile a trarre il meglio
dai suoi compagni di viaggio.
Insieme, ci regalano una partitura per voce sola e cuore.