Premio Giorgio Totola - la terza settimana
La terza e conclusiva settimana del premio Giorgio Totola è stata a dir poco infuocata. Se alla visione dello spettacolo di Venerdì 27 aprile ("La magica notte di San Lorenzo" della compagnia G.A.D. Renato Simoni, di Verona) i premi sembravano essere un'esclusiva di "Nel nome del padre", andato in scena Venerdì 20, il pronto rimescolamento delle carte è venuto il giorno seguente: direttamente da Roma, l’Associazione Culturale Linea di Confine ha calato un poker d'assi ("Il cappello di carta"), di cui sarà impossibile non tener conto per la serata delle premiazioni, prevista per Sabato 5 Maggio.
Tralasciando di addentrarci in un'analisi vera e propria, questa volta Whipart decide di lanciare un parallelo tra il penultimo e l'ultimo spettacolo in gara. Se a prima vista "La magica notte di San Lorenzo" e "Il cappello di carta" sembravano avere connotati simili (periodo storico della seconda guerra mondiale, elevato numero di attori in scena, apprezzabile dispiegamento scenografico), in realtà si differenziavano sotto molti aspetti. Le due caratteristiche sotto cui hanno mostrato una rilevante discordanza - che hanno fatto cadere la scelta sul secondo, rispetto al primo -, sono state essenzialmente due.
La prima è la valenza artistica del testo. Mentre "Il cappello di carta", scritto da Giovanni Clementi, presentava un magnifico esempio di equilibrio tra parti comiche e tragiche, misto ad un'intrusione non invasiva di dialetto romano, in sintonia con quella spinta realista che aveva fatto grande il cinema italiano della ricostruzione, il testo proposto dalla compagnia veronese, scritto da Giancarlo Ravazzin, si presentava sotto forma di un guazzabuglio di idee più o meno ovvie, che hanno dato al tutto una nauseante connotazione di romanticismo Harmony che, sommatosi alla mancanza di un intreccio vero e proprio, non poteva che far implodere le menti degli spettatori in uno spiacevole atteggiamento passivo.
Il regista veronese, come se non bastasse, ha compiuto madornali errori in fatto di scelte sceniche. Innanzitutto l'errato affidamento delle parti: in uno spettacolo che si proponeva come una commedia musicale, in cui quindi si presupponevano parti cantate e parti recitate, non si riesce a comprendere il banale errore di affidare il personaggio femminile principale ad un'attrice che, seppur con un viso pulito acqua e sapone, non sapeva modulare l'ugola come la natura dello spettacolo avrebbe richiesto. Affiancandola ad un attore maschile con apprezzabili doti canore - con cui ha dovuto duettare - non si poteva provare che pena verso il viso contrito ed evidentemente non rilassato della povera Federica Fraccascia. Non parliamo poi delle scelte musicali (ritmate come un valzer lento, a parte un momento di jazz e di... flamenco!), del conciliante immobilismo sulla scena, della perbenistica efficienza delle parole adoperate, dell'inspiegabile fatto di aver adottato i costumi visti nel film "Grease" più che addosso alla popolazione di in un paese italiano bombardato durante la seconda guerra mondiale.
Tutta un'altra storia, invece (per fortuna), nello spettacolo della compagnia romana. Qui l'assegnamento è stato misurato sulla naturale predisposizione degli attori (due su tutti: il personaggio del vecchio, affidato ad un bravissimo Angelo De Angelis, e la pingue simpatia di Candido, ad opera di un sorprendente Marco Caieta), che hanno potuto così dare il meglio del loro repertorio recitativo. La perfetta sincronia, inoltre, non ha fatto altro che dare un sensazione di accurato impegno delle parti in gioco (luci, scenografia, musiche), le quali hanno dato allo spettacolo quella propulsione emozionale attiva, lodata con cinque minuti di applausi meritati da parte del pubblico, come poche volte vistosi coinvolto.
Oscar Barone - 02.05.2007
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