La recensione di Ambra Postiglione
Con l'estinguersi degli ultimi testimoni della Seconda Guerra Mondiale, il ricordo di quel periodo rischia di divenire sempre più irreale, confuso in un generico groviglio di date, nomi e fatti che si perdono tra i tanti capitoli studiati nei libri di scuola.
Il Cappello di Carta, brillante testo di Giovanni Clementi portato in scena dalla Compagnia Linea di Confine il 22 dicembre al Teatro Sala Umberto, si pone come un ideale antidoto al veleno dell’oblio.
Il sipario si apre su una giornata qualunque di un anno qualunque - il 1943 - raccontando una cronaca apparentemente privata che diviene una pagina di storia universale nel momento in cui si intreccia con i fatti che stravolsero Roma in quei lunghi mesi, dai bombardamenti di San Lorenzo ai rastrellamenti del Ghetto.
L'interno familiare è animato da protagonisti che, intenti nel loro tragicomico affaccendarsi quotidiano, si confrontano con la fame e la miseria senza mai perdere il sorriso e la forza di vivere.
Le loro relazioni, costruite su una verace quanto ruvida umanità, si dipanano con naturalezza attraverso un linguaggio popolare che recupera modi di dire desueti appartenenti alla romanità dell’epoca. Ne emerge un ritratto tenero e coinvolgente che, come il racconto di un nonno, illumina il dramma della guerra con una comicità del tutto inaspettata.
Il cast – composto da Angelo De Angelis, Massimo Provinciali, Rita Grasso, Paola Sammartino, Aurora Mascheretti, Patrizio Pucello e Marco Caieta – trova la propria punta di diamante nella straordinaria interpretazione di Angelo De Angelis che conferisce a Nonno Carlo un'incredibile e toccante autenticità. Sfruttando il perfetto bilanciamento tra umorismo e sofferenza, infatti, il personaggio si impone come vero protagonista della vicenda che accetta di abbandonare definitivamente la scena solo quando trova un erede degno tanto del suo nome quanto della sua forte personalità.
Pur non prestandosi a trasformazioni particolarmente creative, la scenografia - firmata da Federica Sollazzo - accoglie gli eventi come un credibile set, offrendo un suggestivo esempio dell’ostinata normalità che la famiglia, nonostante le incertezze, si costringe a perpetrare.
L'affresco neorealistico è incorniciato da un accompagnamento musicale che alterna alle canzoni solari degli anni '40 i drammatici cinegiornali di quei mesi, aiutando lo spettatore a quantificare i salti temporali attraverso cui la convincente regia di Roberto Belli articola la trama.
Dopo il debutto, nel 2006, lo spettacolo è stato replicato in numerose città italiane collezionando diversi premi nei vari festival che lo hanno ospitato ed il pubblico romano ha approvato la rappresentazione con il medesimo entusiasmo.